Cionciarino

 
 
Cionciarino era un bel maialino roseo e paffuto.
Un giorno, venne invitato a pranzo dalla zia Dorotea,
una vecchia molto sofistica, e che stava sull’etichetta.
Il babbo naturalmente l’accompagnò.
Lungo la strada, gli raccomandò di fare il bravo
bambino, di rispondere con grazia, di non mangiare
da ingordo, e di  non sporcarsi. 
Cionciarino si presentò alla zia con un bel costumino
di raso bianco, il berretto bianco, i guanti bianchi,
le calze celesti, e le scarpine di raso bianco
anch’esse; al codino aveva legato un nastrino di seta 
rossa. Appena entrato nel salotto, si gettò su un mazzo
di fiori, ch’era su una sedia, e lo divorò; poi, inseguito
dal babbo, tentò di scappare in cucina, ma la cuoca
fu lesta a chiudere l’uscio.
Intanto venne la zia, che lo accolse amorevolmente,
lo accarezzò, e gli regalò delle caramelle, che Cionciarino
mandò giù intere con la carta! Poi cominciò a fargli
domande su domande, alle quali rispondeva con
dei grugniti. A un tratto, per sfuggire a quella tempesta,
Cionciarino scappò in giardino, dove si avvoltolò,
allegro e beato nelle pozzanghere e tornò su, inzaccherato
da capo a piedi.
Il babbo, quando lo vide  conciato a quel modo, diventò
di tutti i colori. Addio, bel vestitino di raso
bianco! Addio, bei guantoni! Addio, Belle scarpine!
La domestica voleva lavarlo; ma il manigoldo, scappando
di qua e di la non si lasciò prendere. Venne l’ora di pranzo.
Quando portarono la minestra, Cionciarino saltò sulla
tavola, rovesciando piatti e bicchieri, cacciò il muso
nella zuppiera e si mise a grufolare allegramente.
La zia, sdegnata, si alzò e si ritirò nella sua stanza.
Il babbo, verde di rabbia, lo prese e lo ricondusse a casa.
Bella figura che m’hai fatto fare, maleducato!
Papà, ma non lo sapevi che sono un porcellino?